Terza puntata delle “Storie olimpiche” del blog Ama la Maglia: dopo Annibale Frossi, calciatore con gli occhiali a Berlino ’36, e Abebe Bikila, maratoneta scalzo a Roma ’60, tocca a Hassiba Boulmerka. Anche lei africana e anche lei simbolo di un cambiamento non solo per quanto riguarda l’abbigliamento tecnico e sportivo. Per la mezzofondista algerina anche un esempio di determinazione e di come con tenacia si può battere il pregiudizio.
Se Bikila è stato il primo atleta africano a vincere una medaglia d’oro ai Giochi olimpici estivi Hassiba è stata la prima donna africana a trionfare in un campionato mondiale nel 1991 a Tokio e la prima algerina a vincere un oro sulla pista di Barcellona nel 1992. La sua specialità: i 1500 metri. Il suo messaggio dopo le vittorie è sempre lo stesso:
È per tutte le donne algerine, per tutte le donne arabe. Che attraverso lo sport, la società araba riconoscesse la donna
Hassiba Boulmerka è nata nel 1968 in Algeria nel paese di Costantina. Una piccola donna di 156 centimetri di altezza e 52 chili di peso che ama correre e competere fin da quando ha 10 anni. In pantaloncini e canotta. Uno scandalo per la società del suo Paese che relega le donne a uno status di cittadine di Serie B.
Il codice della famiglia algerino del 1984 sancisce la minorità civica delle donne discriminate fortemente nell’ambito delle relazioni familiari e con pesanti conseguenze anche economiche. È stato riformato nel 2005, ma non sembra aver sanato le disparità.
Una donna che si allena e fa sport è una provocazione. Qualcosa da biasimare. Qualcuno da far sparire, se necessario. Non si tollera una ragazza che si allena con braccia, gambe e capo scoperti. Un’offesa all’Islam.
Dopo gli onori del 1991 arriva la condanna a morte. Nel 1992 le elezioni algerine culminano in una guerra civile e 250mila morti. Il successo elettorale del Fronte Islamico di Salvezza sancisce la condanna a morte dell’atleta campione del mondo e simbolo dell’Algeria che vuole cambiare.
Hassiba prepara la stagione in Europa controllata a vista da guardie del corpo come ricorda lei stessa in una lunga intervista concessa alla BBC:
Quell’anno non ho corso in Algeria, era semplicemente troppo rischioso e potevo essere uccisa in ogni momento. Giravo con la polizia ovunque e mi seguivano anche in bagno
Nell’estate del 1992 vince ancora e lo fa alle Olimpiadi di Barcellona vestita con i colori della sua bandiera — il verde e il bianco — e la mezzaluna rossa in una divisa fornita dalla Diadora insolita rispetto alle avversarie: al posto del body ci sono i pantaloncini da uomo e sono anche larghi per coprire le gambe e non risultare aderenti. Anche le braccia sono scoperte, perché usa una canotta.
Ho passato la linea del traguardo e ho alzato un pugno al cielo. Era un segno di vittoria, un segno di ribellione per dire: l’ho fatto, ho vinto e adesso se mi ammazzate è troppo tardi. Ho scritto la storia!
Sul podio vuole essere forte durante la premiazione ma scoppia in lacrime:
Ho provato ha trattenermi ed essere coraggiosa, ma le lacrime hanno iniziato a scorrere. Erano lacrime di sacrifici per tutte le persone che amo e che ho dovuto abbandonare per correre quella gara
Il ritorno in Algeria senza onori tra le macerie di una guerra civile e il padre colpito da infarto per il troppo stress e ricoverato, in coma, all’ospedale. Hassiba passerà del tempo a Cuba per allenarsi e vincere ancora un bronzo e un oro ai campionati mondiali di atletica leggera. Ma non vuole lasciare il suo Paese:
Non ho mai pensato di andare via per sempre dall’Algeria perché è la mia vita, le mie radici, la mia famiglia e i miei amici. Non potrei mai rinunciare a tutto questo
Nel 1996 Hassiba prepara le Olimpiadi di Atlanta, quelle del centenario olimpico. Ma non ripete il successo di Barcellona e nemmeno arriva al podio. Lascia l’agonismo e smette di correre. Oggi è una donna di affari nel suo paese natale e sta vicino al padre che si è ripreso dai problemi di salute.
E quando ricorda la notte di Barcellona non vede solo un oro olimpico per il suo Paese, l’Algeria, ma:
Un trionfo per le donne di tutto il mondo per combattere i loro nemici. Questo mi rende davvero orgogliosa