Rio 2016, storie olimpiche: Cathy Freeman

cathy freeman sydney 2000

cathy freeman sydney 2000

Ultima delle storie olimpiche del blog Ama la Maglia per Rio 2016: dopo Annibale Frossi, Abebe Bikila e Hassiba Boulmerka c’è l’australiana Cathy Freeman:è stata la prima aborigena a rappresentare il suo Paese alle Olimpiadi nell’atletica leggera (Barcellona 1992), la prima a vincere una medaglia (Atlanta 1996) e la prima a conquistare il titolo olimpico (Sydney 2000). Ha innovato nel modo di gareggiare con un body integrale compreso di cuffia per tenere raccolti i capelli e tagliare l’aria. Un body argentato e con i colori verde e oro dell’Australia. Ma soprattutto è simbolo della riconciliazione tra i nativi e la comunità bianca dell’Australia. Andiamo con ordine.

Catherine Freeman è nata il 16 febbraio 1973 a Mackay, nel Queensland, ha iniziato a gareggiare quando aveva 10 anni. Come l’algerina Hassiba Boulmerka il suo talento ha dovuto scontrarsi contro le regole della società: per Hassiba quella che vedeva discriminate le donne perché considerate, per legge, inferiori all’uomo; per Cathy quella che considerava gli aborigeni come cittadini di Serie B continuamente sottomessi da angherie e ingiustizie.

Una volta erano 2 milioni, si sono ridotti a 400mila gli aborigeni in Australia: nel XIX secolo i coloni bianchi potevano cacciarli e ucciderli. Poi le cose sono migliorate solo di facciata. Perché chi era nero in Australia non era considerato. Come Cathy che vinceva da ragazzina le gare, ma vedeva premiate le due avversarie solo per il colore della pelle diverso dal suo.

Normale: suo nonno, giocatore di rugby, non poteva avere documenti come il passaporto e rinunciò ad andare in Inghilterra per una turné; la mamma di Cathy lavorava come telefonista per una paga da miseria solo per avere un permesso che l’autorizzava a viaggiare da un paese all’altro. La Freeman ricorda senza giri di parole la sua situazione:

Quando entravamo in posti nuovi eravamo completamente impauriti, perché sentivamo che essendo neri, non avevamo il diritto di trovarci lì

Per Cathy Freeman la prima Olimpiade è Barcellona 1992, quella del Dream Team Usa nel basket: prima aborigena a far parte della spedizione. Ma il primo successo ai Giochi del Commonwealth del 1990 a Edmonton in Canada: vince i 400 metri e festeggia con la bandiera degli aborigeni e con quella dell’Australia. Polemiche, qualche critica. Lei risponde:

La mia storia ha fatto il giro del mondo. Ma io sono solo Catherine e a me piace solamente correre

Olimpiadi del 1996 ad Atlanta, quelle del centenario dei Giochi moderni. Cathy vince l’argento ed è la prima aborigena della storia a conquistare una medaglia. È un simbolo e lei vuole esserlo in modo positivo:

L’ho detto tante volte che quando vinco faccio sentire orgogliosa di essere australiana la mia gente. Io sono aborigena, sono una di loro e tutte le volte che vinco o che sono premiata come adesso che dovrebbe essere un esempio per gli aborigeni che pensano di non aver nessun posto nella società. Ma ancora più importante io sono australiana e vorrei rendere tutti gli australiani orgogliosi di essere australiani. La nostra è davvero una società multiculturale e dovrebbe essere unita così. Mi piace pensare che le mie vittorie siano festeggiate da tutti gli australiani unendo la nostra nazione

Sydney 2000, le Olimpadi australiane e quelle che segnano il nuovo millennio. Cathy Freeman è, nella sorpresa generale, l’ultima tedofora che accende il braciere nello stadio in una cerimonia di apertura che vuole segnare la riconciliazione tra aborigeni e coloni. Una riconciliazione di fatto, perché quella ufficiale da parte della politica arriva solo nel 2008.

È soprattutto l’Olimpiade di Cathy Freeman, che sui 400 metri è tra le favorite e con tutta la pressione di un continente sulle spalle. Il 25 settembre 2000, in uno stadio olimpico gremito con 112.524 spettatori, la vittoria sui 400 metri: il centesimo oro olimpico per l’Australia. Prima medaglia d’oro vinta da un aborigeno. Primo caso di ultimo tedoforo diventato campione olimpico nella stessa edizione dei Giochi: il bis con il giamaicano Usain Bolt a Londra 2012.

Anche in questo caso la festa con due bandiere gelosamente custodite nel body integrale. Nonostante il divieto ufficiale del Cio di fare uso di bandiere non-statali ai Giochi olimpici. Ma per Cathy è il momento della vera riconciliazione:

Quest’oro è di tutti quelli che lo vorranno. Resto una persona normale, che crede nella vita sia importante stare bene ed essere amate

La tensione e la fatica di Sydney 2000 di fatto chiudono la sua carriera. Nel 2001 un anno sabbatico, nel 2002 un tentativo di rientro in staffetta ai Giochi del Commonwealth e poi nel luglio 2003, dopo alcune gare tutt’altro che confortanti, il ritiro definitivo. Con queste parole:

La mia vera ultima gara della carriera è stata quella di Sydney 2000

La vita dopo Sydney per Cathy Freeman è la sua fondazione, organizzazione che ha come scopo l’abbattimento di ogni disuguaglianza: essere aborigena per lei significa tutto e rappresenta un segno di riconoscenza per il suo popolo e un elemento di sostegno per le loro difficoltà. Alla stampa ama ripetere:

Un sacco di miei amici hanno il talento, ma la mancanza di mezzi e di opportunità non li mette in condizione di esprimersi

Come Annibale Frossi, calciatore dilettante con gli occhiali che studiava all’università e che con i suoi gol trascinò gli Azzurri nel 1936 all’unico oro olimpico della storia italiana. Come Abebe Bikila, soldato e maratoneta che corse a piedi nudi perché le scarpe fornite dallo sponsor di Roma ’60 erano troppe strette. O come Hassiba Boulmerka, mezzofondista con i pantaloncini da uomo e i colori della sua Algeria che la voleva morta solo perché donna e atleta. Anche Cathy Freeman, con il suo body spaziale, le sue bandiere nascoste sotto la maglia, ha cambiato la storia dello sport olimpico. E come gli altri ha cambiato anche la storia con la esse maiuscola. Buone Olimpiadi di Rio 2016!

TI PIACE QUESTA STORIA? ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER SETTIMANALE PER RICEVERE LE ALTRE

* campi obbligatori