Rio 2016, storie olimpiche: Abebe Bikila

abebe bikila maratona roma 1960

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Seconda puntata delle “Storie olimpiche” del blog Ama la Maglia dopo quella dedicata al calciatore con gli occhiali Annibale Frossi. L’immagine rimasta nella storia delle Olimpiadi di Roma 1960, unica volta dei Giochi estivi in Italia: Abebe Bikila taglia il traguardo della maratona per prima sotto l’Arco di Costantino nel buio della sera di un 10 settembre. Canotta verde, numero 11 di pettorale e i piedi scalzi. Non indossava scarpe, perché africano e quindi abituato a correre così. Niente di più sbagliato. Anche se la storia ci consegna due versioni. Andiamo con ordine.

Bikila Abebe (Bikila era il nome, ma come da tradizione etiope per primo si scrive il cognome) era nato nel 1932, il 7 luglio. Famiglia povera, padre pastore. A 17 anni entra nell’esercito come guardia imperiale. Viene scelto come maratoneta dopo aver stupito in gare militari. Era una riserva per Roma 1960: solo la rinuncia di Abebe Wakijera, per infortunio, portò Bikila nella Capitale.

Ma si stava allenando da quattro anni. Non era uno sprovveduto o un atleta improvvisato come volevano le cronache sportive dell’epoca quando si parlava di sportivi africani. E anche la vicenda dei piedi nudi dimostra che a Roma era arrivato motivato e concentrato. Voleva vincere per l’Africa e il suo popolo e voleva farlo all’attacco. Voleva essere il primo a finire la maratona “sano” e ancora con l’andatura di un atleta. Era un militare: non scordiamolo.

adidas, fornitore tecnico alle Olimpiadi di Roma 1960, il 75% degli atleti in gara indossava scarpe di quel marchio, non aveva calzature adatte per il piede di Bikila. La soluzione, consigliata anche dal suo allenatore, lo svedese Onni Niskaen, solo due ore prima della partenza, poteva solo essere quella di correre senza scarpe. Scalzo, all’arrivo, il 10 settembre 1960 disse:

Volevo che il mondo sapesse che il mio paese, l’Etiopia, ha sempre vinto con determinazione ed eroismo

Correre scalzo non era per lui un’abitudine, ma solo un caso. Anche se la Treccani Sport riporta questo particolare storico: “In allenamento, Niskanen gli fece correre la distanza di 32 km sia con le scarpe sia senza: a piedi nudi Bikila impiegò 1h45′, quasi un minuto e mezzo meno che con le scarpe. Pochi giorni prima di partire per Roma, riprovò ancora sulla stessa distanza, sempre scalzo: 1h42′36″, una media di 3,10″ al chilometro a 2000 m di altitudine”.

Ai Giochi di Tokyo del 1964 il maratoneta etiope vinse per la seconda volta la medaglia d’oro, indossando un paio di scarpe. adidas? No, secondo il sito di Asics le calzature di Bikila in quella Olimpiade erano della Onitsuka Tiger (poi diventata Asics Corp. con la fusione di due altre aziende) come riporta il libro “Correre è una rivoluzione” di Dave Allen e Vijay Vad pubblicato da Sperling & Kupfer.

Queste scarpe prima del 1976, Olimpiadi di Montreal, sono lo standard per chi corre e il marchio numero uno del mercato: negli Usa il distributore della Onitsuka Tiger/Asics è la Blue Ribbon Sports. Dice niente il nome? Negli anni seguenti metterà sul mercato la sua scarpa da corsa rivoluzionaria con il nome di Nike.

Torniamo alla doppietta di Bikila: primo atleta africano di colore a vincere una medaglia d’oro olimpica e primo maratoneta a fare il bis in due edizioni consecutive. Record eguagliato, nel 1976 e 1980, dal tedesco orientale Waldemar Cierpinski sul quale però ci sono sospetti — anche fondati — di doping visto il sistema della DDR portato avanti tra il 1968 e il 1988.

Abebe Bikila però voleva il tris a Città del Messico nel 1968. Ma arriva con molti problemi fisici non risolti. Abbandona al chilometro 17 e passa il testimone al compagno e connazionale Mamo Wolde che poi vincerà. Al momento, sofferto, del ritiro disse queste parole:

Non posso continuare a correre perché mi sono fatto male seriamente. La responsabilità di vincere una medaglia d’oro per l’Etiopia è sulle tue spalle

La storia di Bikila prende un altro corso dopo il mancato tris olimpico. Nel 1969 un incidente d’auto lo rende paralizzato alle gambe. Non riuscirà più a camminare. Ma non si perde d’animo e inizia a gareggiare nelle discipline paralimpiche come il tiro con l’arco. Le sue parole sono sempre lucide:

Gli uomini di successo incontrano la tragedia. È stato il volere di Dio se ho vinto le Olimpiadi, ed è stato il volere di Dio a farmi incontrare l’incidente. Ho accettato quelle vittorie come accetto questa tragedia. Devo accettare entrambe le circostanze come avvenimenti della vita e vivere felicemente

Nel 1972 è invitato come spettatore alle Olimpiadi di Monaco di Baviera per vedere il tentativo, poi fallito, del connazionale Wolde di vincere il secondo oro consecutivo nella maratona dopo quello del 1968. Bikila muore nel marzo del 1973 a causa di una emorragia cerebrale. Resta nella leggenda: è il maratoneta scalzo di Roma, ma sappiamo che la storia — la sua storia — è molto più interessante.

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