Le divise per le Olimpiadi estive e invernali sono il biglietto da visita delle squadre nazionali ai Giochi. Sono spesso anche l’occasione per mostrare al pubblico di tutto il mondo stili, mode e tendenze e mettere la firma del “made in” del paese in questione. E per quanto riguarda il nostro Paese è sempre stato un motivo di vanto poter sfoggiare dal Team Italia il meglio della moda, che proprio grazie all’occasione sportiva sperimentava nuovi filati, tessuti e tagli dei vestiti.
Negli ultimi decenni il protocollo del guardaroba è regolamentato dal Cio in modo molto rigido. Ma non è sempre stato così. Nelle prime edizioni dei Giochi il diktat olimpico moderno vietava l’esposizione di marchi e qualsiasi forma di professionismo da parte degli atleti in gara. Le regole per l’abbigliamento si limitavano a istruire sul materiale dei tessuti (lana e cotone) e sulla lunghezza di maniche e gambe dei pantaloni.
La stessa delegazione italiana ha vissuto dei cambiamenti cromatici nei primi decenni del 1900. Fino all’edizione di Amsterdam del 1928 i nostri atleti vestivano il colore bianco e solo dai Giochi estivi del 1932 a Los Angeles entra in scena l’iconico colore azzurro. Ma solo da Londra 1948 possiamo identificare e riconoscere i fornitori del Coni e poter iniziare questo viaggio nella storia delle divise dell’Italia per le Olimpiadi estive e anche invernali.
Iniziamo da una precisazione molto importante per circoscrivere il perimetro stilistico: per le divise andiamo a ricostruire l’evoluzione di quelle di rappresentanza per le cerimonie di apertura, chiusura e premiazione. Poi ci sono le divise sportive delle varie federazioni utilizzate per il tempo libero e le gare. E fino agli Anni 70 del secolo scorso anche la questione legata a scarpe e materiale tecnico che gli atleti acquistavano nei negozi specializzati direttamente al villaggio olimpico o, per i più famosi e con potenzialità da medaglia, direttamente fornite dai marchi prestigiosi dell’epoca.
Londra 1948: divise Italo Sport e Venjulia
Partiamo da Londra 1948 con una novità importante per il Coni. «Abbiamo fornito le tute per gli atleti italiani che nel 1948 hanno partecipato alle Olimpiadi di Londra. È stato il nostro esordio», ricordava a Il Piccolo di Trieste Livio Fabiani, morto nel 2012 a 88 anni, fondatore del maglificio Venjulia con suo cugino Giorgio Oberweger, olimpionico nel lancio del disco e poi per 25 anni commissario tecnico della nazionale di atletica leggera, e Ottavio Missoni, anche lui atleta azzurro e poi noto stilista di moda.
L’allora giovane azienda triestina (aperta nel 1948 e chiusa per fallimento nel 2005) specializzata in abbigliamento per lo sport si è fatta notare per un’innovazione tecnica e cromatica molto importante: la tonalità di colore azzurro e la comodità che le vecchie divise sportive non garantivano. «Erano di un celestino chiaro che dopo lavato diventava grigiastro – ha raccontato ancora Fabiani –. La seconda invenzione è stata quella di costruire un nuovo filato di lana all’interno del quale era inserito un fiocco di nylon. Rendeva le tute elastiche, attillate, confortevoli, stabilissime nel colore. È stata la nostra fortuna».
Le maglie e le tute Venjulia sono state indossate poi ancora indossate da molti atleti azzurri nei successivi Giochi olimpici da Livio Berruti, campione olimpico dei 200 metri nel 1960 a Roma, dalle nazionali di calcio, atletica leggera e basket; dagli sciatori della Valanga azzurra di Mario Cotelli. E poi ancora da calciatori di grido, ciclisti sulla cresta dell’onda, canottieri in Italia, Svizzera, Francia, Jugoslavia. Da quello che si capisce incrociando gli archivi storici dell’epoca Venjulia era presente ai Giochi soprattutto con l’atletica leggera e qualche altra disciplina.
Apriamo il discorso divise di rappresentanza con la partnership tra il Coni e Italo Sport, che ha vestito la delegazione italiana dai Giochi 1948 al 1968 (sia estivi che invernali). Si tratta di un’azienda fondata nel 1937 a Milano, che ha realizzato molte innovazioni per quanto riguarda l’abbigliamento sportivo. Una presenza molto locale, con negozio in città, ma anche globale e di grande attualità apprezzata a livello internazionale. La storia di Italo e Giampaola Taffa è raccolta e raccontata nel libro “Eleganza tecnica, performance e stile nelle linee di Italo Sport” edito da Skira. Dal materiale si capisce che oltre le divise di rappresentanza per le cerimonie c’è una forte presenza di Italo Sport anche l’abbigliamento di molte disciplina come il nuoto e la scherma. E la presenza diventa ancora più rilevante alle Olimpiadi invernali, dove il marchio milanese era usato dagli atleti azzurri di punta.
Divise olimpiche griffate made in Italy
Arriviamo al 1976 per quanto riguarda i Giochi estivi: nell’edizione di Montreal appare per la prima volta il logo del fornitore delle divise sportive per la delegazione italiana: è la Sergio Tacchini che firma una tuta di colore azzurro con gli iconici pannelli ai fianchi con il tricolore e la scritta Italia sull’orlo inferiore della giacca con zip.
Nel 1980 a Mosca è ancora un brand del made in Italy sulla cresta dell’onda a vestire la spedizione azzurra ai Giochi estivi: la Ellesse di Perugia. Anche in questo caso la scelta cromatica rimane aderente alla tradizione con l’azzurro abbinato a inserti bianchi. A Los Angeles nel 1984 ennesima griffe sugli scudi: la Fila di Biella e anche in questo caso con un tradizionale azzurro e bianco. A Seoul 1988 entra in scena il primo stilista con la famiglia Trussardi che lancia la linea Sport in anteprima con il Team Italia: ancora azzurro, ma nella parte alta della giacca della tuta ci sono in orizzontale il verde, il bianco e il rosso.
Ancora un’azienda dello sportswear italiano è protagonista per le divise italiane a Barcellona 1992: Paul & Shark, specializzata in abbigliamento per la vela e tempo libero in stile nautico, sdogana la prima variazione dell’azzurro in una tonalità più chiara richiamando l’acqua del mare. Ad Atlanta 1996 il grande ritorno di Sergio Tacchini con una tuta multistrato iconica con doppia tonalità: azzurro e blu. A Sydney 2000 la famiglia Benetton entra in scena con il marchio Playlife e la prima citazione vintage: tuta azzurro in stile classico di cotone con il ritorno della scritta Italia sul petto.
Siamo ad Atene 2004 ed entra in scena per la prima volta uno sponsor straniero: la giapponese asics che ha però ai vertici Franco Arese, un italiano. E sparisce l’azzurro che lascia il posto a una tuta con la giacca di colore bianco abbinata a pantaloni azzurri. Anche a Pechino 2008 l’azienda italiana Freddy, specializzata in abbigliamento per la danza e il workout, abbina una giacca multitasca di color argento a pantaloni bianca con una impercettibile fettuccia tricolore.
In tema di divise per le Olimpiadi l’edizione 2012, ancora una volta a Londra, segna l’ennesima rivoluzione con l’ingresso di Giorgio Armani e del suo Emporio come sponsor del Coni e del Cip. Con il marchio EA7, dedicato esclusivamente allo sportswear, il noto stilista sdogana il suo elegante blu navy per la tuta del Team Italia aggiungendo la prima strofa dell’inno di Mameli all’interno della giacca.
A Rio 2016 l’ormai inconfondibile blu scuro di EA7 viene abbinato a una vistosa grafica bianca a forma di 7 sulla parte frontale della giacca: critiche per la furba esposizione di un elemento che richiama il brand senza citarlo palesemente. Ma un successo da parte del pubblico. Così per Tokyo 2020, edizione poi slittata al 2021 a causa della pandemia da Covid, le iniziali divise blu con una grafica tonda al centro della giacca in omaggio al Sol Levante sono diventate di colore bianco attirando non poche critiche da parte del pubblico.
Giochi invernali, divise per la neve e il ghiaccio
Per quanto riguarda le divise per i Giochi invernali la situazione è di più difficile catalogazione. Sappiamo che Italo Sport arriva fino al 1968 con l’edizione di Grenoble. Poi lascia il passo a un pool di sponsor raggruppati dalla federsci. Ogni singola federazione aveva i suoi fornitori tecnici ed è difficile capire chi vestiva chi e quando. Dobbiamo per forza fare un salto al 1994 a Lillehammer, in Norvegia.
Per le prime Olimpiadi invernali sfasate di due anni da quelle estive il fornitore delle divise per la delegazione italiana è la Fila, che ai tempi vestiva Alberto Tomba, Deborah Compagnoni e i mitici moschettieri dello sci di fondo oltre che le due campionesse Manuela Di Centa e Stefania Belmondo.
Grazie al boom di medaglie e talenti azzurri della neve e del ghiaccio, Fila prosegue la fornitura di divise anche a Nagano 1998. Per l’edizione di Salt lake City del 2002 entra in scena quello che finora è l’unico sponsor straniero del Team Italia ai Giochi: la asics che firma le divise per l’edizione americana e soprattutto per quella di Torino 2006, quando è anche fornitore ufficiale di tutto l’abbigliamento dei giudici di gara e dei volontari.
A Vancouver nel 2010 il contratto di Freddy per le Olimpiadi estive trova anche una declinazione per l’edizione della neve e del ghiaccio con la variazione dell’iconico giaccone multitasca argento che diventa imbottito e di color blu metallizzato. Da Sochi 2014 in Russia entra in scena EA7 visto che la partnership del Coni e Cip con il fornitore tecnico delle divise è unico. Quindi troveremo ancora Emporio Armani a PyeongChang 2018 e Pechino 2022, ma con importanti novità cromatiche: diminuisce la presenza del blu scuro che lascia spazio al bianco per la Corea e l’azzurro per la Cina con l’introduzione di vistosi dettagli tricolori.
Per l’edizione cinese dei Giochi invernali la divisa da rappresentanza sposta la ruota cromatica sul bianco, come successo a Tokyo per l’edizione estiva. Anche in questo caso il giaccone è una tela sulla quale trovano spazio le scritte Italia in verde e rosso come un pattern.