Sono passati 40 anni da quando la nazionale di calcio dell’Inghilterra è scesa in campo a Wembley indossando la maglia dello sponsor tecnico Admiral con l’interpretazione più colorata della storia (almeno fino a quel giorno). Parliamo dell’amichevole contro l’Argentina di un giovane Diego Armando Maradona andata in scena il 13 maggio 1980. Deriso come un kit appariscente e pacchiano, abbandonato dopo soli 3 anni, com’è diventato uno dei più amati dai tifosi? A questa domanda risponde un lungo articolo sul sito della BBC.
Iniziamo dai dettagli colorati: sulla tradizionale maglia bianca con scollo a V trovano posto due bande di colore blu e rosso, una striscia blu più sottile, il logo Admiral rosso e il classico scudetto con i Tre Leoni. Barry Davies, commentatore della BBC, disse quel giorno:
Il motivo per cui la maglia dell’Inghilterra debba avere i colori della Union Jack rimane un mistero
Barry Davies
In effetti la bandiera della Gran Bretagna non rappresenta quella dell’Inghilterra e della sua federazione calcistica. Per questo motivo da un centinaio di anni la nazionale inglese indossa una maglia bianca abbinata con pantaloncini blu scuro. Nel caso del Mondiale 1966 la divisa di riserva era rossa con pantaloncini bianchi: quella usata nella vittoriosa finale contro la Germania Ovest.
Quando nasce quella maglia così iconica e colorata? Nel 1979 grazie all’accordo da 1 milioni di sterline tra la Football Association e il marchio di sportswear Admiral, che subentrò a Umbro nel 1974 e che a sua volta nel 1966 prese il posto di Bukta. Bert Patrick, proprietario del brand di Leicester, dichiarò:
L’Inghilterra sarà la nazionale di calcio meglio vestita al mondo
Bert Patrick
L’introduzione dei colori sulla maglia bianca doveva proprio servire a dare maggiore visibilità ai giocatori in campo tenendo come riferimento due fattori: le partite internazionali si giocano principalmente la sera sotto i riflettori, le tv a colori ormai erano molto diffuse nelle case europee. Nonostante queste caratteristiche la stampa del tempo bocciò l’innovazione, perché sappiamo che il calcio è un ambiente conservatore e gli inglesi sono conservativi per quanto riguarda le tradizioni.
Torniamo per un attimo al 1966 e al Mondiale di calcio organizzato in Inghilterra: il marchio Admiral, ovviamente non esposto, realizzò una innovativa maglia per il portiere della nazionale Gordon Banks che era proprio di Leicester. La divisa girocollo gialla che usò per tutta la manifestazione era realizzata con un filato speciale elastico che garantiva un fit adatto alle richieste del numero uno inglese. Non ricevette un centesimo per l’endorsment, la usò solamente perché ritenuta migliore di quella fornita dallo sponsor tecnico ufficiale Umbro. Nota di colore: Banks fu l’unico inglese a non calzare scarpini adidas (che erano distribuiti in UK da Umbro), ma Puma nella finale contro la Germania e, in questo caso, dietro il pagamento per l’endorsment.
Per quanto riguarda Admiral il suo ingresso nel calcio di vertice inglese è datato 1973 con il Leeds United, primo club a vestire una maglia con il logo dello sponsor tecnico. Bert Patrick iniziò in quell’occasione a subire le accuse di trarre profitto dal calcio e dai tifosi, ma tirò dritto. Arrivando alla fornitura della squadra nazionale, con l’inserimento di dettagli colorati sulle maniche e l’introduzione del logo sui pantaloncini. Poi passò alla produzione di tute e borsoni medici con in evidenza il marchio Admiral suscitando lo scalpore della stampa che riteneva l’operazione “odiosa esposizione di marchi commerciali”.
Ma il furbo Bert aveva in mano un contratto da 15.000 sterline all’anno con la FA, che rendeva una royalty del 10% per la vendita del materiale. E avendo almeno un centinaio di club in portafoglio questo voleva dire miliardi di sterline per un’azienda a conduzione familiare fondata nel 1912 che produceva biancheria intima, calze e pigiami. La tv a colori permetteva di osare dei look più sportswear e i giovani tifosi compravano le repliche delle maglie.
Torniamo a parlare della maglia inglese del 1980. Il design definitivo fu scelto tra 60 bozzetti creati da un team di quattro persone in 12 settimane di lavoro. Sembrava la mossa definitiva e capace di rompere una volta per tutte le regole per diventare l’oggetto del desiderio dei tifosi. Ma proprio sul più bello qualcosa di inceppò. I primi scricchiolii durante l’Europeo del 1980 in Italia con i titoli del Mirror: “La crisi dei kit di calcio”.
A cosa si riferiva? Alla concorrenza che aveva fiutato l’affare e aveva spostato la produzione dall’Europa a quella a basso costo asiatica. Mentre Admiral e Umbro rimanevano con le radici nelle fabbriche tessili in Inghilterra il vulcanico Horst Dassler di adidas France insieme alla sua famiglia che gestiva adidas in Germania era andato a Est, molto a Est. Questo porta Admiral a esporsi troppo con le banche inglesi e così iniziarono i problemi economici. E si parla di chiusura dopo solo 10 partite con il nuovo kit colorato della nazionale inglese.
La FA dopo l’amichevole contro la Norvegia già a settembre 1980 poteva chiudere con Admiral e scegliere un altro fornitore. E tanti volevano tornare a firmare la maglia dell’Inghilterra a partire da Umbro, ma Admiral tiene duro e rassicura tutti: ce l’avrebbero fatta esternalizzando il lavoro anche a fabbriche in Irlanda. Questa decisione calma gli investitori e le banche, tranquillizza i club e i rivenditori che aspettano i kit replica per la vendita al dettaglio.
Ai Mondiali di calcio in Spagna nel 1982 il punto più basso: le divise prodotte per il Mundial erano invernali e non adatte al clima caldo e torrido dell’estate spagnola creando non pochi problemi ai giocatori. L’Inghilterra uscì nella seconda fase a gironi quando dalla fabbrica, in Irlanda, erano pronti i kit con tessuto più leggero e traspirante. Un ritardo di produzione non giustificabile.
La fine della maglia colorata Admiral dell’Inghilterra nel 1983 in Lussemburgo con la mancata qualificazione agli Europei di Francia. “La FA riporta indietro gli orologi” titola la stampa quando Umbro torna a collaborare con la federcalcio inglese a abbandona i colori per tornare alla classica maglia inglese. Cosa non ha funzionato, allora? Peter Hockenhull, un partner commerciale di Admiral, molto amico di Bert Patrick, è tuttora sorpreso dell’alone di vergogna di quel kit colorato. Piaceva ai dirigenti, piaceva all’allenatore e ai giocatori, i tifosi volevano comprarlo. In molte votazioni online la maglia colorata del 1980 è seconda dietro solo alla maglia rossa del Mondiale 1996 e davanti a quella azzurra con i rombi di Italia 90. Non solo: al Mondiale 2018 l’attuale sponsor tecnico della FA, l’americana Nike, ha proposto un design simile per la maglia da riscaldamento.
La risposta che ipotizziamo alla domanda della BBC è la seguente: negli anni settanta del secolo scorso la nazionale di calcio inglese ha mancato parecchi appuntamenti come gli Europei 1976 e i Mondiali 1974 e 1978. A Euro 1980 e il Mundial 1982 la squadra ha deluso. Innegabile che queste sconfitte, unite al fenomeno degli hooligan, abbiamo allontanato l’opinione pubblica da quella nazionale e da come era vestita, sottolineando i difetti (sponsorizzazione esplicita, colori appariscenti, tessuti sbagliati, forniture non disponibili nei negozi, problemi finanziari) e non i pregi di quella maglia. Che rimane nella storia del calcio inglese e mondiale per l’innovazione che ha portato.
LEGGI ANCHE
- Causa Kappa-Fisi: Tribunale dà ragione ai gemelli BasicItalia
- Quarta maglia del Milan 2023 di Koché
- FIP e Macron: la nuova maglia della nazionale di basket italiana
- La tuta da sci EA7 dell’Italia per i Mondiali 2023
- Tutte le maglie del 6 Nazioni 2023 di rugby
- Maglia del Galles di rugby al 6 Nazioni 2023
Lascia un commento