Udinese divisa 1983 Americanino

Udinese 1983, quando Zico vestiva Americanino

Come mai un campione del calibro di Zico, all’anagrafe Arthur Antunes Coimbra, ha giocato in Serie A con la maglia dell’Udinese tra il 1983 e il 1985? La risposta più semplice è che una volta il calcio italiano era sinonimo di eleganza, tecnica e stile. La Serie A era il paradiso pallonaro mondiale e da noi venivano a giocare i più forti e famosi calciatori del pianeta. Si sfidavano con i campioni del mondo 1982 in un mix di spettacolo e tifo sfrenato.

Un arrivo a Udine con bagno di folla ma senza il carrozzone commerciale che siamo abituati a vedere oggi, con gli sponsor e partner commerciali che rubano la scena allo spettacolo sportivo: un paragone è il caso di Ronaldo alla Juventus con la questione di quante maglie numero 7 dovevano essere vendute per ripagare il cartellino del portoghese fin dalle prime ore dopo la presentazione a Torino. Quello degli Anni 80 era un calcio più genuino; globalizzato ma senza fastidiose e ridondanti invasioni di campo.

Ieri come oggi, i soldi contavano parecchio. Ci mancherebbe. I presidenti di Serie A e B investivano per avere un ritorno. Magari calcolato sulla popolarità o su una pubblicità delle loro aziende fatta entrare sui campi da calcio dalla porta di servizio. E ci sono figure che hanno certamente lavorato per coniugare risultati sportivi e ritorni economici. Come Lamberto Mazza, morto a 86 anni nel 2012, ex presidente della Zanussi e dell’Udinese, che mi ha fatto tornare alla memoria la storia dell’Udinese, squadra della provincia italiana – una provincia ferita e in via di guarigione dal devastante terremoto in Friuli del 1976 – che negli anni 80 sfidò le grandi.

Orgoglio friulano: hanno pianto i morti del sisma, hanno raccolto le macerie e hanno ricostruito quanto distrutto indicando all’intera nazione come ci si comporta con dignità davanti a una tragedia. Questa ricostruzione ha nell’Udinese del presidente Teofilo Sanson il suo simbolo sportivo. Da 1976 al 1981, sotto la sua guida, la squadra sale dalla Serie C alla Serie A e lancia una controversa diatriba con la Federcalcio per la sponsorizzazione delle divise (non sulla maglia perché vietato, ma sui pantaloncini; poi vietati anche loro) e poi c’è il passaggio di consegne a Lamberto Mazza delle Industrie Zanussi.

Mazza non era friulano né veneto, ma romano. «Io desidero fare grande l’Udinese, come d’altra parte mi è congeniale poiché altre cose del genere le ho fatte», dice alla folla dei tifosi. E porta così in Serie A il più bravo calciatore sudamericano nel 1977, 1981 e 1982: il brasiliano Zico. La cifra spesa per il cartellino è 6 miliardi di lire, in parte ricavati dai numerosi sponsor in parte dalle casse della Zanussi. Era l’estate del 1983. Presentazione con la mitica maglia bianca con banda centrale nera in stile Ajax friulano. Sponsor di maglia l’azienda tedesca Agfa, che ai tempi era uno dei big player della fotografia analogica grazie alle sue pellicole a colori e in bianco e nero. Nello stemma dell’Udinese campeggia il giallo con la Z rossa di Zanussi (un secondo sponsor di maglia, che ai tempi non era contemplato ma sul quale non si sono levate voci di protesta).

Ma avete notato lo sponsor tecnico? Americanino, il marchio di abbigliamento in denim, che farà fortuna in quel decennio con i Paninari. Un marchio della moda fashion italiana, che produce magliette di calcio per la Serie A? Certo e non era l’unico a qui tempi. Molte aziende di manifattura avevano i telai per produrre linee di abbigliamento sportswear e tentare un primo timido approccio al merchandising. Non era l’unico in quel campionato: Pop84 vestiva e sponsorizzava l’Ascoli. Il marchio dei fratelli Perna, anche in questo caso capi in denim e per il tempo libero, diventa in seguito anche sponsor ufficiale della Figc prima dei Mondiali di Messico ’86.

Perché un marchio del made in Italy che viene dal mondo fast fashion e non uno sponsor tecnico dall’universo sportivo come adidas, Puma, Umbro? Semplicemente perché non era possibile per quei brand essere competitivi con la manifattura tessile italiana e con il dinamismo dei suoi imprenditori. Horst Dassler, boss dell’adidas, era concentrato a livelli più alti (Fifa e Cio) e a livello locale lasciava spesso ex calciatori nel ruolo di agenti sul territorio.

E in Italia c’era filo da torcere in tutti i sensi. Primo problema la “legge olimpica” che vieta l’esposizione di marchi e sponsorizzazioni, anche se tecniche e non commerciali. Poi una serie di imprenditori del tessile che decidono di investire nello sport portando innovazione per quanto riguarda tessuti, colori e design delle divise sportive. Sull’onda dei successi di prodotti marchiati Ellesse, Sergio Tacchini, Fila nel tennis arrivano nel calcio ventate di novità molto ben accolte dai patron dei club di Serie A e B.

Una storia iniziata da Nicola Raccuglia (il signor Ennerre) con un primo strappo in avanti di Maurizio Pouchain con il suo brand omonimo, che rivoluzione completamente il concetto di marketing legato ai club di calcio italiani mutuando il sistema Usa: stemmi che diventano loghi, maglie brandizzate e dall’aspetto accattivante per essere vendute ai tifosi. Lazio con l’aquilotto e la maglia ghiacciolo della Roma sono un’esempio di questo stile, che però non incontra il favore dei presidenti e della stampa. Così l’esperimento e la ditta Pouchain finisce nel giro di 3 anni.

La nuova legge sportiva che supera il blocco degli sponsor tecnici e di maglia tra la fine degli Anni 70 e gli 80 è comunque un’occasione che l’industria italiana sfrutta con intelligenza a partire dai marchi di abbigliamento. Il Milan nella stagione 1981/82 ha come sponsor di maglia Pooh Jeans, che faceva anche le maglie e le tute dei rossoneri (vendute poi su catalogo). Senza dimenticare la Juventus vestita Robe di Kappa: negli Anni 70/80 era un marchio più modaiolo che sportivo del Maglificio Calzificio Torinese.

L’Udinese ha lo sponsor tecnico Americanino e l’onore di vestire un campione di fama mondiale come Zico. L’altra stella brasiliana Falcão, insieme al connazionale, Cerezo gioca con la Roma in una maglia della belga Patrick e il vistoso sponsor di maglia Barilla. Sono gli anni della Serie A visto come “il campionato più bello del mondo”. E il più elegante.

Poi arriveranno i grandi marchi dello sportswear come adidas, Nike, Diadora che, da metà Anni 80 e poi per tutti i 90, spazzeranno i piccoli sponsor tecnici locali che non possono mantenere grandi volumi di produzione a prezzi bassi e sfruttare la manodopera asiatica. Però l’estetica della Serie A nei primi anni del decennio resta nella storia e nella memoria degli appassionati di sport.

(prima pubblicazione 12 agosto 2012, aggiornamento 23 marzo 2020)

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