Maglia candida e coscienza sporca: perché in campo per 11 ore e 5 minuti?
Diciamola tutta: io non credo alla buona fede tra il tennista statunitense John Isner e il collega francese Nicolas Mahut. L’incontro a Wimbledon tra i due è durato cinque set. L’ultimo, quello decisivo, è andato avanti per più di 8 ore. Totale: 11 ore e 5 minuti.
C’è chi parla di gladiatori e chi li cita come eroi. Addirittura ho sentito dire “la partita del secolo”. Ma per favore. Due onesti mestieranti della racchetta che mai si sognerebbero di arrivare tanto lontano nel tabellone.
Due atleti che comunque possono diventare, loro malgrado, testimonial ideali per i loro marchi tecnici che al torneo di Wimbledon, noblesse oblige, sono molto sacrificati.
Tutti in maglietta e brache bianche, pochi fronzoli e molti salamelecchi. Allora perché non pensare a un’operazione di viral marketing tra il famoso baffo americano e il coccodrillo francese?
Avere la possibilità di pianificare un’esposizione su più giorni (da martedì a giovedì) e un quinto set terminato 70-68 per Isner è un’ipotesi. Soprattutto vedere che tutte le telecamere improvvisamente vengono accese sul campetto di periferia dell’All England Club per un incontro di secondo piano.
E scoprire che il giorno dopo sul web continuano a passare i video con i commenti al “match più lungo della storia”. Con i brand che si fregano le mani: pubblicità gratis da due onesti mestieranti che non farebbe, normalmente, vendere granché.
Ladies and gentlemen: anche questo è sport al giorno d’oggi. Non fatevi imbrogliare dall’atmosfera d’antan britannica, dalle fragole con la panna e da un regolamento che non cambia da secoli. In fatto di marketing gli inglesi sono avanti da sempre. Vedi il calcio, che da moribondo e ostaggio degli hooligan è diventato un modello di business da invidiare e copiare.
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